Le dieci tele sopravvissute sono di proprietà del gruppo bancario Intesa Sanpaolo, che ha provveduto alla commissione del restauro e successivamente all'allestimento della mostra alla Reggia di Venaria Reale e alla redazione di un volume monografico L'oratorio della Compagnia di San Paolo a Torino. Il restauro del ciclo pittori nelle collezione Intesa Sanpaolo (Umberto Allemandi, Torino 2013), da cui per cortese concessione sono tratte le schede storiche qui riportate.
In occasione delle celebrazioni per i Quattrocentocinquant’anni dalla fondazione della Compagnia di San Paolo (1563-2013) è stata restaurata e riunita una tra le più significative imprese artistiche piemontesi e uno dei più rilevanti cicli pittorici interamente dedicati a san Paolo Apostolo.
La committenza artistica della Compagnia fu sempre di primissimo livello. Oltre alle tele dell’Oratorio, va ricordata, nella cappella di San Paolo della chiesa dei Santi Martiri di Torino, la pala d’altare del grande pittore tardomanierista Federico Zuccari (confratello sanpaolino dal 1605), allora attivo a Torino nella Grande Galleria del duca Carlo Emanuele I. Inoltre, la Compagnia incaricò il letterato di corte Emanuele Tesauro, autore barocco di fama europea, di scrivere l’Istoria della Venerabilissima Compagnia della Fede Cattolica, sotto l’invocazione di San Paolo, nell’augusta città di Torino, pubblicata nel 1657.
L’antico Oratorio
L’antico Oratorio per il culto privato della Compagnia di San Paolo, sorto a Torino nel 1578 nell’isolato della chiesa dei Santi Martiri, era ornato dalla pala d’altare tardomanierista raffigurante la Conversione di san Paolo (1580) del faentino Alessandro Ardente.
Tesauro e il suo progetto
Nel 1663, in occasione del centenario della Compagnia, fu affidato al letterato di corte Emanuele Tesauro il progetto iconografico di un nuovo ciclo decorativo per l’Oratorio composto, oltre che dalla pala di Ardente, da una serie di grandi quadri dedicati alla vita di san Paolo (ciascuno commentato da un’iscrizione). Immagini e parole narravano la storia del santo, dalla Conversione al Martirio, in un racconto coinvolgente e teatrale che celebrava anche le attività della Compagnia.
I pittori
Per tale grandioso progetto furono chiamati i pittori di maggior successo sulla scena torinese: il lorenese Charles Dauphin, tra gli artisti più accreditati a corte, i piemontesi Giovanni Bartolomeo Caravoglia, confratello sanpaolino, autore di ben sette quadri per l’Oratorio (di cui due oggi dispersi) e Giovanni Francesco Sacchetti. Non mancarono anche tempestivi aggiornamenti sulle novità pittoriche rappresentate dal genovese Pietro Paolo Raggi e dal trentino Andrea Pozzo (autore di un’opera aggiunta nel 1689, a ciclo ultimato, oggi perduta). Nel 1686 la Compagnia decise di ornare ogni tela con lo stemma del rispettivo confratello committente. Nello stesso periodo furono anche ridipinte in eleganti cartigli, alla base dei quadri,le iscrizioni di Tesauro.
Il ciclo dell’Oratorio fornisce un’eccezionale panoramica sui protagonisti del Barocco piemontese del secondo Seicento. Quasi tutti erano membri della Compagnia di San Luca (associazione professionale degli artisti torinesi nata nel 1652). Alcuni, come Dauphin e Caravoglia, lavorarono nei maggiori cantieri sabaudi del tempo, dal Palazzo Reale al Palazzo di Città. Qui a Venaria, lo stesso Tesauro ideò,nel 1659-60, il programma iconografico della Reggia di Venaria Reale dove furono attivi Dauphin e Caravoglia (nella Sala di Diana), mentre Sacchetti fu l’autore del ritratto inciso della duchessa Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours in apertura del libro Venaria reale Palazzo di piacere e di caccia di Amedeo di Castellamonte.
Il nuovo Oratorio
Nel 1703 il ciclo pittorico fu trasferito nel nuovo Oratorio in via Monte di Pietà di Torino (definitivamente chiuso nel 1876), con un allestimento che mirava a evidenziare l’importanza delle famiglie committenti delle opere piuttosto che la coerenza cronologica delle storie di san Paolo. Gli inventari settecenteschi specificano inoltre che i quadri avevano ricche cornici lignee, intagliate e dorate su fondo turchino (ora perdute), che uniformavano le diverse dimensioni delle tele.