uomini e movimenti si orientano nel favorire, soprattutto, la
repressione della predicazione eterodossa attraverso l’attivi-
tà missionaria, volta a debellare, come allora si scriveva, lo
spirito diabolico del male e della corruzione morale interno
all’eresia, per rinnovare la vita religiosa di una società
30
,
fon-
data essenzialmente sulla riforma del clero, dell’episcopato,
del mondo dei religiosi e delle abbazie, per cui i vari genera-
li dovevano inviare alcuni membri scelti dei loro ordini ai
fini di debellare le abitudini, ormai inveterate tra clero e
religiosi, di considerare il loro beneficio solo una rendita
economica, motivo di prestigio familiare, politico e sociale
31
.
La risposta, per così dire, pastorale attorno alla quale
93
30
Nel frattempo nel febbraio 1560, anche sulla scia dell’ottimo giudizio
sul duca di padre Cogordano, Antonio Possevino sporgeva al Lainez
un memoriale intorno alle cose da lui trattate con Emanuele Filiberto,
relativamente soprattutto all’istruzione catechistica e pastorale del
clero piemontese, all’uso della lingua volgare perché molti non sapeva-
no neppure intendere il latino, alla riforma dei monaci, che «non hanno
chi nei loro conventi provveda a loro». Si doveva, inoltre, insistere sulla
grandezza e dignità del sacerdozio e del ministerio dei sacramenti «i
quali non si hanno a maneggiar da persone ignoranti». Andavano letti i
casi di coscienza, insegnata la dottrina cristiana a fanciulli e donne,
almeno «ogni sabbato nelle scuole a putti, distribuendo tali scuole a
due o tre buoni religiosi, e nelle chiese ogni festa al populo» (S
CADUTO
,
1959,
pp. 91-92, 140-141; sul colloquio del Possevino col duca a Nizza,
D
ORIGNY
, 1759,
pp. 21-25). Al Lainez il gesuita, il 9 febbraio 1560, met-
teva in risalto, soprattutto, il fatto che il duca «con l’essempio et con la
riverenza che porta al santissimo sacramento è causa che questi illustri
signori suoi sudditi almeno esteriormente non siano causa di scandalo»,
sottolineando non solo l’opportuna condivisione di un atteggiamento
ormai centrale nella pietà torinese, ma anche l’esemplarità di condotta
del sovrano.
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Emanuele Filiberto, già nel febbraio del 1560, vietava di partecipare
alle funzioni dei ministri del nuovo culto ed esprimeva rammarico per
il comportamento dei vescovi nei suoi stati, attenti solo alle loro entra-
te economiche; così nel marzo indisse una riunione dei vari presuli a
Savigliano onde studiare i mezzi per reprimere l’eresia.