Negli anni dello scoppio delle guerre di religione in
Francia la repressione dei fermenti, dei gruppi, delle sette
ereticali in Piemonte sul versante cattolico significava la
possibilità di sradicare le temibili tensioni alla ribellione
popolare, all’introduzione di uno “stato popolare”, come
scriveva il legato sabaudo in Francia, Gerolamo Della
Rovere, vescovo di Tolone, poi arcivescovo di Torino. Esso
sarebbe stato esiziale per il governo e il ducato, ormai sulla
via dell’assolutismo monarchico, retto da un principe “cri-
stiano” che, perseguendo la difesa della religione cattolica,
affermava il suo potere e garantiva il benessere dello stato e
dei sudditi.
Emanuele Filiberto, come è noto, cercò di mantenere e
di difendere una tale immagine di sovrano, che appartene-
va, del resto, anche alla sua tradizione famigliare, ma non
mancò, con le sue scelte, specie quelle degli anni attorno
alla pace di Cavour nel 1561
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e oltre, di destare, tramite i
nunzi, le critiche e le rimostranze della curia romana che
protestava per la politica di ingerenza del duca nei confron-
ti dell’immunità e della libertà ecclesiastica, per il controllo
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fatione alla quale sono più fedeli che a Cristo et a V. A. la quale perciò
meritarà appresso il Signor Iddio et al mondo facendo scarnificare et
dargli in notomia loro corpi di chi havrà da lasciare in questo errore»
(
Il memoriale risale al 1559-60; se ne trova copia in BNUT, ms. O.I.11,
c. 22
v
;
cfr. P
ATETTA
, 1928,
pp. 3 sgg., che lo attribuisce a Cassiano dal
Pozzo. Il testo fu pubblicato in R
ICOTTI
, 1861,
vol. I, pp. 291-340).
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L’accordo di Cavour del 5 giugno 1561, firmato tra i rappresentanti
del sovrano e delle valli valdesi, primo esempio di editto di tolleranza
scrive il Merlin, era condannato perché, in sostanza, riconosceva una
certa libertà religiosa. Di ciò riferiva il Borromeo al nunzio Bachaud,
insistendo anche sulla necessità da parte dei vescovi di provvedere al
mantenimento di almeno tre o quattro missionari nelle loro terre, di far
intervenire il braccio secolare del duca, mentre il papa affidava al card.
alessandrino fra Michele Ghislieri, il futuro Pio V, «una general soprin-
tendenza a quelle degli altri ancora in tutto codesto stato».