I pontefici Pio IV e Pio V insistevano presso il duca che,
peraltro, già dal 1559 aveva fatto l’accorta scelta di stabilire
una nunziatura presso la Santa Sede, garantendosi, da un
lato, il consenso dei pontefici e, dall’altro, riservandosi pos-
sibilità di intervento su dei rappresentanti che risultavano,
pertanto, graditi ad entrambe le corti
22
.
Gli editti e gli scritti
in cui Emanuele Filiberto esprime atteggiamenti variegati
nei confronti della repressione ereticale risentono di una
visione retorica, che pare tipica del Possevino
23
.
Il gesuita, e
88
22
Emanuele Filiberto, consapevole della situazione di Torino e del Pie-
monte ove era diffusa l’adesione al movimento riformato, agli inizi del
ritorno nella nuova capitale del ducato, stabiliva di inviare il vescovo di
Aosta, mons. Marco Antonio Bobba, quale suo ambasciatore presso il
pontefice, annunciando la decisione al ciambellano signor di Collegno
in una lettera del 22 agosto 1559, da Anversa: «Hora che per gratia di
Nostro Signore Iddio mi veggo restituito ne’ miei stati, ne’ quali fra gli
altri mali che la guerra ha produtti, è cresciuta in modo la nova heresi
luterana, che non remediando tosto potrebbe infettar tutto il resto.
Intendo prima di ogni altra cosa per riconoscer meglio, come devo, il
beneficio ricevuto da Sua Maestà Divina por mano in attender diligen-
temente a purgar essi mei stati da detta heresi et ritornar il vero culto
divino de la santa chiesa Romana in tutta integrità e perfettione»
(
AST, s.p.,
Lettere ministri
,
Roma, m. 2).
23
Il duca nella lettera al conte Giorgio Costa Della Trinità, incaricando-
lo di dirigere la repressione in valle d’Angrogna nell’ottobre 1560,
osservava, con idee non dissimili da quelle più volte espresse dal Posse-
vino, ormai suo consigliere nella lotta contro l’eresia, che gli eretici «si
affaticano di sedurre gli altri nostri sudditi e cospirare di subvertire lo
Stato della Chiesa et il Nostro insieme». Lo stesso Gerolamo Della
Rovere, legato sabaudo in Francia, futuro arcivescovo di Torino, protet-
to dal duca e a lui lealmente fedele, in una lettera del 19 maggio 1562,
metteva bene in evidenza i risvolti politici dei rapporti tra principi ed
eretici, in modo non dissimile dall’immagine della repressione già utiliz-
zata dal Possevino e dal sovrano stesso. Quasi necessariamente l’adesio-
ne all’eresia era causa scatenante di ribellioni popolari contro l’ordine
costituito, «per cui i popoli venivano posti contro alla chiesa, contro il
Re, Principi, Signori et Nobili e li Nobili contro i Re», generando un