il Governo, scambiandola con un corpo d’amministrazione di
opere pie, aveva con questo provvedimento non solamente
disconosciuto i diritti di proprietà che le competono, ma
eziandio pregiudicati i diritti dei poveri, e persino indebolite
le guarentigie di quelli dipendenti dall’osservanza delle inten-
zioni dei pii fondatori, per modo che la Compagnia non pote-
va, senza compromettere la propria coscienza, fare alcun atto
di adesione al medesimo decreto; ed è nell’interesse delle
ragioni dei poveri da tale atto compromesse, che si fa un
dovere di denunciarlo come diretto a violare l’articolo 29
dello statuto.
Ma oltreché il detto provvedimento pregiudica alle
ragioni di proprietà spettanti alla Compagnia di S. Paolo
sopra i beni affetti al servizio delle sue opere di beneficenza,
esso ha pure per effetto di sopprimere affatto la Compagnia
stessa, e come tale eccede i limiti della autorità attribuita al
potere esecutivo.
E per verità, se in forza dell’articolo 29 dello statuto sono
inviolabili le proprietà della Compagnia di S. Paolo, inviolabi-
le pure deve intendersene la persona morale, se non si vuol
cadere nell’assurdo, che sia facoltativo distruggere quella per-
sona morale di cui non sia lecito violare le proprietà.
Ma lo scopo principale della Compagnia di S. Paolo
consiste, come venne ampiamente dimostrato nell’ordinato
della medesima, 23 novembre 1851, nell’esercizio della virtù
della beneficenza per mezzo delle opere pie da essa a tal fine
fondate; quindi il decreto reale 30 ottobre 1851, per cui
viene spogliata dell’Amministrazione di tali Opere, per
quanto professi di volerla conservare, in realtà la distrugge.
E ciò è talmente vero, che lo stesso decreto reale all’articolo
16
dichiara, che la Compagnia di S. Paolo continuerà
come
confraternita
nell’amministrazione che le vien lasciata delle
opere di religione e di culto; col che fa conoscere aperta-
mente, che si volle non già riformarla, ma trasformarla in
un’altra instituzione.
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