203
poveri aventi i requisiti ordinati nelle rispettive fondazioni,
che ne saranno dalla Compagnia di S. Paolo giudicati più
meritevoli.
Quindi questo supposto diritto di proprietà apparter-
rebbe non già a persone certe e determinate, ma a persone
da designarsi per mezzo di un giudizio della Compagnia,
d’onde segue, che venendo questo giudizio attribuito ad
altro corpo d’amministrazione, il quale non sia la Compa-
gnia di San Paolo, anche nella persona dei poveri rimane
violata la proprietà, nel senso che questa si fa passare dagli
individui che verrebbero designati dalla Compagnia a quegli
altri individui, che sarebbe per eleggere la nuova Ammini-
strazione. Laonde, sia che si consideri la proprietà di questi
beni nella Compagnia di S. Paolo, sia che si consideri nella
persona dei poveri che hanno diritto a partecipare dei reddi-
ti di tali beni, risulterà sempre la medesima violata dall’atto
per cui l’amministrazione loro venne ritolta alla Compagnia
di S. Paolo.
Si aggiunga, che coll’art. 5° del decreto reale 30 ottobre
1851
si dichiara, che non potranno rivolgersi ad altro uso le
sostanze dai benefattori lasciate con uno scopo speciale, in
quanto sia questo intrinsecamente e nel suo esercizio conci-
liabile coll’esigenza dei tempi e colle leggi dello Stato; dal
che appare, che nel caso contrario potranno le intenzioni dei
pii benefattori essere trasandate.
Ma dov’è la guarentigia dei diritti dipendenti dei testa-
menti se l’osservanza della volontà dei testatori si fa dipen-
dere da un elemento cotanto vago od instabile come sono le
esigenze dei tempi?
Non è pertanto senza motivo, che la Compagnia di S.
Paolo, la quale sempre si mostrò ossequente al Governo, e
premurosa di secondarne le viste, ha dovuto in questa occa-
sione, non già opporre una resistenza ai suoi voleri, ma aste-
nersi dal cooperare in alcuna parte all’eseguimento del decre-
to reale del 30 ottobre 1851. Conobbe cioè la Compagnia, che