confidenza, ed avversa alla medesima l’opinione publica».
Sul primo aspetto il rettore sosteneva che molte regole con-
tenute negli statuti erano state «realmente nel corso degli
anni modificate, o per via di posteriori deliberazioni, o per
essere alcune di esse cadute in disuso». Sul secondo aspetto
ricordava che non avevano mai cessato «di affluire alla
Compagnia i lasciti e le donazioni, di cui fu sempre largo
verso la medesima il publico, ma più specialmente appunto
nel corso degli ultimi 30 anni». Se si sospettava poi che l’opi-
nione pubblica fosse ostile alla Compagnia, bisognava per-
mettere a questa opinione di manifestarsi attraverso i natu-
rali organi parlamentari
16
.
I ricorsi, come si è osservato, non trovarono alcun segui-
to
17
e la linea seguita dalla congregazione si andò sempre più
nettamente configurando come una presa di posizione che si
collocava sul piano dei principi. Tale atteggiamento compor-
tava sia il rifiuto della Compagnia di amministrare anche le
sole opere con finalità religiose, riconosciute ancora di sua
competenza dal decreto reale del 30 ottobre 1851
18
sia la
rinuncia, nonostante i rinnovati inviti ancora nel corso del
1852,
a nominare i 15 rappresentanti nel nuovo consiglio di
amministrazione. Lo impedivano, in termini sempre più rigi-
damente ribaditi, «motivi di coscienza e princìpi solenne-
mente proffessati»
19
.
168
16
«
L’Armonia», 1° febbraio 1852.
17
Acconsentire a questa parziale amministrazione avrebbe significato
per l’antica Compagnia l’ammissione implicita della separazione – ripe-
tutamente respinta – tra opere di beneficenza e opere religiose: cfr. la
citata relazione del 2 febbraio 1852 e l’ordinato dell’8 febbraio 1852
(
docc. nn. 3 e 4).
18
Mons. Merlo accenna anche ad un’altra iniziativa rimasta senza esito:
«
Dopo la petizione al Senato, fu nominata una commissione per resti-
tuire alla Compagnia i lasciti religiosi; ma nulla si fece, per il peggiora-
re dei tempi» (M
ERLO
, 1952,
p. 14).
19
Cfr. ordinato del 18 aprile 1852 (doc. n. 6).