riflessioni introduttive ad ogni “capitolo”, dove espressioni
di sapienza comune e diffusa si accostano alla citazione scrit-
turistica e sacra («
E perché si dice vulgatamente non nascer
nessun maestro
»).
Altro elemento, che caratterizza il “cenacolo” torinese,
è l’insistenza sull’obbedienza quale fondamento della perfe-
zione cristiana, del resto del tutto evidente all’interno di una
società che si distingueva e si concentrava attorno all’impor-
tanza della figura religiosa del padre spirituale e di quella
laica del rettore, entrambi di quasi uguale peso nella direzio-
ne della vita dei confratelli, attori di una sorta di “governo
monarchico”, ancora simile all’ordinamento interno della
Compagnia di Gesù.
Il capitolo XIII dedica particolare attenzione alle condi-
zioni di coloro che potranno essere accolti e iscritti alla
società. Occorre agire con prudenza, «non dare il santo a
cani e non gettare le pietre preziose avanti li porci». Escluse,
come già detto, le donne, tutti dovevano aver compiuto
almeno ventidue anni; se qualcuno, di età inferiore, dimo-
strava particolare impegno, lo si poteva ammettere alle pra-
tiche, ma non iscrivere, se non al compimento degl’anni
richiesti e non prima, in ogni caso, dei diciotto.
Minuziose le indagini e le ricerche a cui doveva essere
sottoposto l’aspirante da parte di rettore e consiglieri. Nel
complesso procedimento dell’analisi del candidato, della
inchiesta sulla sua vita, della sua prova ed ammissione molto
si insisteva sull’importanza dei sacramenti della confessione
e della comunione, «primo e principal sostegno della Compa-
gnia nostra e di tutto il cristianesimo», resi obbligatori ogni
settimana, obbligo che, come si è visto, era già stato introdot-
to, ma in modo non così rigido in alcune confraternite ed
associazioni che, per certi versi, potrebbero richiamare i san-
paolini. La partecipazione ai due sacramenti avveniva ogni
domenica, contestualmente alla messa e alla lezione di sacra
scrittura. Chi per alcune volte non avesse osservato tale
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