Il riferimento agli atti di Cristo, alla Chiesa degli apo-
stoli e primitiva, ai padri, più rimanda ad una temperie cul-
turale e spirituale, di poco precedente a quella che aveva
dato forze e spinta vitale all’umanesimo cristiano, movi-
mento quest’ultimo, che, con la
devotio moderna
,
influenze-
rà Ignazio e i suoi seguaci e di cui c’era stata qualche traccia
negli anni torinesi di Claudio di Seyssel, di Amedeo Berru-
to, di Giovanni de Gromis, di Pietro Cara, per citare alcuni
esponenti.
Il nome di Paolo richiama necessariamente, di riflesso,
quello di Dionigi l’Areopagita, che erroneamente si ritene-
va essere discepolo dell’apostolo delle genti, il cui scritto,
qui citato, era di grande diffusione nel contesto degli svilup-
pi di un movimento liturgico e di esercizi di fede e di pietà
che coglievano l’altissimo valore simbolico e l’essenza spiri-
tuale dei gesti e dei riti, soprattutto della sinassi o dell’euca-
restia, del ruolo dei preti e dei consacrati, della natura e
identità della loro consacrazione, dei fedeli tesi alla propria
perfezione.
Vi è, in vari capitoli, un senso forte di distinzione nel-
l’impegno spirituale, di costruzione della propria vita inte-
riore sul modello dei perfetti cristiani del Vangelo e della
Chiesa delle origini, che rimanda ad una temperie e ad un
clima di esperienze religiose proprie dei primi gesuiti e non
solo, come detto, riflettendo quell’esigenza di riforma e di
rinnovamento che andava dalle Osservanze del XV secolo ai
nuovi ordini religiosi della prima metà del secolo XVI, rivol-
ti soprattutto alla carità e alla missione apostolica. Tale spi-
rito d’impegno, che potremmo anche, un po’ troppo somma-
riamente, definire borghese, si dimostra nelle ricorrenti
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bene: per ciò ognuno delli fratelli, non suolo quando sarà presente a
questa città, ma ovunque se ritroveranno, ricercheranno con ogni dili-
genza di osservare li presenti capitoli quanto potranno».