pienamente corrisponde la cura ricorrente per la “memoria”
della società, ad esempio nella redazione di alcuni mano-
scritti come il
Libro della Compagnia
e nell’opera del Tesau-
ro, che anche a questo perduto documento in gran parte si
rifaceva
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.
Non minore rilievo e responsabilità avevano il sacrista e
l’usciere dell’oratorio, visto anche il particolare significato
che tale luogo assumeva per la vita dei soci. La Compagnia
non aveva un radicamento parrocchiale, ma riferendosi, in
sostanza, all’intera città anche nelle sue varie manifestazioni
pubbliche, ritrovava ed esaltava nello spazio privato le sue
peculiari distinzioni ed espressioni esemplari su tutti. All’u-
sciere spettava la direzione e il controllo degli ingressi nel-
l’oratorio: alle lezioni di sacra scrittura e/o ai sermoni ordi-
nari tutti vi potevano accedere, come faceva Cristo che a
tutti predicava, mentre alle messe e ai sacramenti, che si
celebravano nella cappella, dovevano essere ammessi solo i
soci, ancora una volta sul modello di Cristo e in riferimento
alla situazione del Cenacolo, dove il Salvatore fece l’ultima
cena «con li suoi appostoli, discepoli et amici singolari et l’i-
stesso si osservava nella primitiva chiesa sì come si vedde
nelli antichi canoni et massime come testifica S. Dionigi
Arriopagita, discepolo di san Paolo nel libro suo Della eccle-
siastica hierarchia».
Tali motivazioni spirituali ed evangeliche, assenti nelle
regole successive, significando riflessi alti di gesti che pote-
vano essere usuali, confermano quel clima elitario e devoto
entro il quale si muovono i compagni delle origini, ben con-
sapevoli dei loro impegni spirituali, con risultati di distinzio-
ne e di eccezione esemplare sulla città e non solo
87
.
136
86
C
ANTALUPPI
, 2003,
pp. 65-71; S
CADUTO
, 1974,
pp. 634-638.
87
Nel capitolo XV delle «costitutioni» del 1563 si legge: «Non il luoco,
ma l’obligo e la devozione debe spengere et spronare il christiano a far