sugli aspetti politici, sociali ed economici del gruppo, che già
nell’originario e ristretto numero comportava la rappresen-
tanza dei ceti che abbiamo via via visto emergere quale
corpo unitario e ben consapevolmente identificato dell’oli-
garchia cittadina
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.
Due gli avvocati e i causidici: Giovanni
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Sul finire del 1562 si hanno le prime testimonianze del progetto di un
collegio dei gesuiti a Torino. L’avvocato Albosco era stato inviato a
Mondovì dal duca per risolvere le questioni aperte con le monache
domenicane del locale convento di S. Caterina, che dovevano lasciare ai
gesuiti l’edificio da loro occupato, anche perché il vescovo della città
intendeva chiudere il monastero in quanto bisognoso di riforma. Sembra
che a muovere l’interesse per l’insediamento torinese fosse stato il padre
Cherubino, predicatore in città in quel torno di tempo, mentre il Posse-
vino interveniva presso il generale, l’8 dicembre 1562, chiedendo che si
informasse bene della «voluntà di coloro che pensavano dare aiuto».
Accertata, pertanto, la disponibilità, non si poteva perdere la significa-
tiva occasione di «fondare un’antimurale contra questi confini»; Tori-
no, infatti, si presentava al Possevino come luogo molto adatto per un
insediamento della Compagnia: «poiché ivi vi è il capo dei maneggi di
tutto il Piemonte, et ivi sarà lo Studio, il Senato, la sedia archiepiscopa-
le, et molte volte la corte, come si ha a credere, et penso hora v’anderà
a stare sua altezza; oltre che è il passo di tutta l’Europa. Quanto al
mandato di procura per accettare la donatione o altro, giudicherà se
sarà bene farne uno, senza nominarmi dentro, in persona de M. Batti-
sta rettore nel Mondevì. Questo dico per quello che mi scrive don Che-
rubino di alcuni della comunità che non m’amano. Il che n’ho dubitato
non sia per causa d’heresia che io habbia detestato forse troppo aperta-
mente contra la voluntà loro. Pure non vorrei peccare; se parrà anco
farmene un altro, il quale sia in nome mio, per potere, bisognando, aiu-
tarmene o co’l signor Aleramo, il quale mi scrisse M. Lodovico
Coudreto che mostrava di amarmi, o per altro conto, quando la comu-
nità non si contentasse di M. Battista, solo spererò con l’aiuto di Dio N.
S. che forse non sarà cosa che impedisca in quel che accenna don Che-
rubino per conto del particolare mio con alcuno della comunità di Turi-
no [...]. Non ho parlato a sua altezza se ha animo di trasferire il collegio
del Mondevì a Turino, percioché ella è stata sempre o qui o fuori occu-
pata nel riavere i presidii, de quali resta solo Turino a rendersi, il quale
hoggi si aveva a restituire. E quando si sapesse che la comunità darebbe